Che il franchising Kipoint del Gruppo Poste Italiane sia una truffa, quello è stato ormai appurato.
Ho già riportato qui alcuni fatti accaduti a me durante la presa dei contatti con i responsabili del gruppo Kipoint e lo svolgimento dell'attività commerciale.
Oggi, però, vorrei proporvi la situazione di un altro affiliato Kipoint, questa volta con sede a Roma: qui viene riportata la lettera che scrisse al suo avvocato, per informarlo dei fatti che stavano accadendo.
"Egregio Avv. Giovanni Adamo,
Il sottoscritto xxxx (...).
Verso la fine dell’anno 2004 venni a conoscenza, tramite
ripetuti incontri tenutisi a Milano con rappresentanti della società Kipoint
S.r.l., della possibilità di intraprendere un’attività in franchising nel
settore dei servizi alle imprese, attraverso il marchio “KIPOINT – Gruppo PosteItaliane”. In occasione di questi incontri, durante i quali mi venne illustrato
il contenuto dell’iniziativa, mi fu anche consegnato dal franchisor del
materiale informativo abbastanza dettagliato nel quale erano esplicitati i
termini dell’accordo di franchising, ivi inclusa una stima dell’investimento
iniziale richiesto ai potenziali nuovi franchisee, nonché un business plan che
la Kipoint S.r.l. aveva commissionato a una società di consulenza direzionale e
revisione contabile molto nota a livello internazionale e che simulava
l’andamento del fatturato e dei margini operativi lordi dei primi due anni di
attività di un nuovo affiliato. La convinzione di poter accedere con un
investimento iniziale non troppo oneroso ad un business sulla carta molto
redditizio e che in tempi relativamente brevi avrebbe potuto raggiungere il
cosiddetto “break even”, unitamente alla possibilità di stipulare un accordo
per l’utilizzo di un marchio contenente il brand sicuramente prestigioso di
“Poste Italiane”, mi spinsero a valutare in termini positivi l’opportunità e di
conseguenza a firmare nei mesi successivi con la Kipoint S.r.l. un contratto di
franchising, stipulato in data 21/03/2005 per la durata di 7 anni."
"Con mio
rammarico, tuttavia, l’attività in questione non ebbe a decollare come da me
auspicato e ciò principalmente in ragione del fatto che le cifre prospettatemi
nei mesi precedenti all’accordo furono smentite dai fatti, ossia dall’effettivo
andamento economico dell’iniziativa. Per prima cosa, l’investimento iniziale
superò di circa il 40% quanto preventivato nei documenti che la Kipoint S.r.l.
mi consegnò nella fase di trattativa. In essi, infatti, alcune spese, sia tra
quelle da sostenere nella fase iniziale (costituzione societaria,
ristrutturazione dei locali, tasse e altri oneri), sia tra quelle previste a
regime (utenze, pubblicità e promozione, spese del personale), erano largamente
sottostimate, mentre altre ancora non erano neppure citate (acquisto di beni e
servizi da alcuni fornitori imposti dal franchisor a prezzi decisamente più
alti rispetto a quelli di mercato). A ciò si aggiunga che l’andamento dei
successivi quasi quattro anni in cui l’attività della mia azienda rimase in
funzione (precisamente dal 1 luglio 2005 al 28 febbraio 2009) fu caratterizzato
da numeri decisamente inferiori a quelli preventivati secondo le stime fornite
dalla Kipoint S.r.l., tanto che il bilancio della mia società si chiuse in
passivo in tutti i quattro anni di esercizio (con una perdita complessiva
stimabile oggi in circa 70.000 euro, interamente ricoperti dalle quote versate
dai soci), fino alla liquidazione della stessa società decisa
dall’assemblea dei soci in data 9 gennaio 2009. In particolare tengo a
sottolineare come, nonostante un promettente inizio e gli sforzi profusi da me
e dai miei collaboratori (peraltro riconosciuti dalla stessa Kipoint S.r.l.
dalla quale ricevetti in più occasioni apprezzamenti per il mio operato come
affiliato), mai i nostri numeri giunsero ad essere confrontabili con quelli
presentati nel business plan che mi era stato presentato al momento della
firma, sia in termini di fatturato mensile, sia soprattutto in termini di
margine di contribuzione, ciò a causa della fortissima concorrenza che avemmo a
riscontrare in tutti i settori nei quali l’attività dei centri Kipoint si
misuravano con il mercato e con la sproporzione tra i costi da sostenere per
offrire un servizio di livello accettabile nei settori di nostra competenza e i
ricavi ottenibili applicando le tariffe di mercato ai nostri clienti, di certo
molto lontane dai prezzi consigliati da Kipoint S.r.l.. Lo stesso marchio
“Poste Italiane” si dimostrò alla lunga un’arma a doppio taglio, in quanto i
nostri servizi venivano offerti molto spesso a prezzi ancor più concorrenziali
dagli stessi uffici postali, con un ovvio danno in termini di concorrenza che
giungeva dalla nostra stessa “casa madre”.
Ritengo di aver
maturato la ferma convinzione che il “business Kipoint” così come mi venne
proposto, e come, a quanto mi risulta, viene ancor oggi prefigurato ai
potenziali nuovi affiliati, non presenta certo le caratteristiche di
redditività né di attrattività decantate dal franchisor e difficilmente un
imprenditore che desideri approcciare tale opportunità può aspettarsi un esito
diverso dal dissesto finanziario nel giro di pochi anni.
In fede."
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